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xxvi cenni intorno alla vita

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Chiunque leggerà nel poema d’Eugenio Anieghin la storia dell’infelice poeta Vladimiro, ucciso in duello dall’amico, sul fior degli anni, non potrà a meno di vedere in quella tragica fine come un presentimento e quasi una predizione della fine riserbata dalla sorte al nostro Puschin. Quasi tutte le circostanze di quel racconto concordano con quelle, pur troppo reali, della catastrofe qui sopra da noi accennata. Con giusta ragione, dunque, credevano gli antichi essere i poeti anche profeti.

Byron morì di trenta otto anni e tre mesi; Puschin, di trentasette e otto mesi. Somigliò al bardo inglese nell’animo irrequieto, nello stile impetuoso come l’animo, nella vita errante, nella precoce morte.

Fu certamente uno dei più potenti ingegni poetici di questo secolo, illustrato da Schiller, Goethe, Byron, Moore, Manzoni, Lamartine e Vittorio Hugo. Non gli mancò che di vivere in un clima meno aspro, in una società più pittoresca, in un paese più libero, per dare alla sua fantasia tutto quello slancio di cui era capace; mentre, nelle condizioni in cui visse, dovè comprimerla sovente, come appare pur troppo in molti passi dei suoi scritti mutilati dalla censura.

Nessuno prima di lui aveva maneggiato la poesia russa con quella disinvoltura e quella facilità che è uno dei distintivi della vera ispirazione. Troppo impaziente per limare attentamente i suoi versi, riesce talvolta negletto, ma non mai languido nè freddo. Il suo stile è sempre chiaro e limpido come un cristallo; qualità rara prima di Puschin, e di cui va debitore al suo grande amore della lingua francese, nella quale niente di oscuro può entrare. La stessa qualità attinse Goethe alla stessa fonte.

L’azione dei poemi di Puschin è semplicissima. Così è in molti capo-lavori antichi e moderni, nell’Iliade, nell’Odissea, nell’Eneide, nel Fausto, nel Paolo e Virginia, nel Don Juan. L’interesse del racconto non risulta dalla

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