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30 il conte nulin.

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Rosso di vergogna e fremente di rabbia, il conte inghiotte quell’oltraggio. Non so come sarebbe andata a finire la faccenda, se il cane barbetto che si mise a guaire non avesse svegliato Prascovia. Il conte, sentendola venire, dà le gambe a imbelle fuga, maledicendo la sua dimora in quella casa e i capricci delle donne.

Come Natalía, Prascovia e Nulin passassero il resto di quella notte, pensalo tu, lettore, se il puoi; io non intendo aiutarti a figurartelo.

La mattina seguente, il conte s’alza in silenzio, si veste svogliatamente, si mette, sbadigliando, a limar le sue unghie color di rosa, s’annoda con negligenza la cravatta, e non si liscia gli inanellati capelli colla spazzola inumidita. A che egli pensi, io non so; ma ora lo invitano a prendere il tè. Che fare? Il conte, comprimendo la stizza della sua balordaggine e il suo secreto furore, esce dalla stanza.

La giovine civetta abbassando gli occhi beffardi, e mordendosi le labbra di cinabro, parla con modestia di cose indifferenti. Confuso a prima giunta, poco a poco rianimandosi, il conte risponde sorridendo. Era appena un’ora che stavano insieme, e già il conte scherzava con disinvoltura, e si sentiva di bel nuovo innamorato, quando s’udì uno strepito nel vestibolo. Qualcheduno è entrato. Chi sarà mai?

“Taliuccia, bene alzata.” — “Chi vedo! Conte, ecco mio marito. Mio caro, il conte Nulin.” " — “Me ne rallegro assai. Che tempo scellerato! Ho veduto la vostra calescia bell’e pronta dal fabbro. Taliuccia! abbiamo inseguito una lepre bigia nei boschi vicini. Ehi! acquavite. Conte, vi prego d’assaggiar-

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