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38 | li zingari |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu{{padleft:79|3|0]]sa. Ogni strada lo conduce al suo scopo, ogni coltrice gli concede un dolce riposo; nel destarsi la mattina offre a Dio la sua giornata, e i trambusti della vita non poterono mai estirpare la sua indolenza. Talvolta la sua stella sembrava invitarlo a calcare il sentiero della gloria, talvolta la fortuna e la voluttà gli largivano i loro favori; spesso il fulmine mugghiava sulla sua fronte isolata, ma egli dormiva sicuro in mezzo alle tempeste come in mezzo alla calma, e continuava ignorare la violenza del destino perfido e ceco. Oh come le passioni tiranneggiavano il suo cuore! Con che tumulto esse fervevano nel suo egro seno! Quanto è che si placarono? Per quanto tempo si sono placate? Aspettiamo.
Zemfira. Dimmi, dolce amico, non rimpiangi quel che abbandonasti per sempre?
Alecco. Che ho io abbandonato?
Zemfira. La patria, i concittadini.
Alecco. Perchè li rimpiangerei? Se tu conoscessi, se tu potessi figurarti quanto è angustiata e schiava la vita delle città! Ivi gli uomini, ammucchiati e stretti come piante in un orto, non respirano mai il rezzo del mattino nè l’olezzo vernale dei prati; si vergognano d’amare, bandiscono il pensiero, mercano la libertà, chinano la fronte davanti agli idoli e ne implorano oro e catene. Che ho io abbandonato? Il dolor del tradimento, la prepotenza del pregiudizio, la persecuzione del volgo insano, e l’opprobrio splendido.
Zemfira. Ma lì vi sono palazzi immensi, variegati tappeti, giochi, banchetti festosi; lì le fanciulle vestono sì ricchi abiti!