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li zingari | 43 |
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Zemfira. Si è voltato, si alza, mi chiama, si è destato. Io vo presso di lui. Addio, padre; raddormentati.
Alecco. Ove sei ita?
Zemfira. Da mio padre. Un demone ti toglieva il respiro e ti tormentava l’anima mentre dormivi. Mi hai fatto paura. Tu digrignavi i denti, e proferivi il mio nome.
Alecco. Mi sei apparsa in sogno. Mi sembrava trovarti con.... insomma, ho fatto un sogno spaventevole.
Zemfira. Non prestar fede alle visioni notturne.
Alecco. Ah ch’io non credo a nulla, nè ai sogni, nè alle proteste affettuose, nè al tuo amore.
Il Vecchio. Perchè mai, giovine insensato, sospiri continuamente? Qui ognuno è libero, il cielo è chiaro, ed è celebre la bellezza delle donne. Non piangere, la mestizia ti ucciderebbe.
Alecco. O padre! essa non mi ama più.
Il Vecchio. Plácati. Essa è bambina. Il tuo sospetto è senza fondamento, tu ami sul serio, ma le fanciulle scherzano. Mira! la luna signora dell’etra passeggia pei campi azzurrini del cielo; fonde egualmente i suoi raggi sopra tutta la natura. Se talora s’imbatte in una nuvola, l’illumina splendidamente, ma tosto trapassa a un’altra, nè vi si fermerà a lungo. Chi potrà assegnarle un posto fisso e dirle: non andrai più oltre? Chi potrà dire a un giovin