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un dato scopo, ma non si vede come riescono, nè per quali vie: che pure a conoscerle non sarebbe male per potersi guardare nell’avvenire.



VI.


Comunque ciò sia accaduto, il fatto sta ed è che delle fatiche durate, de’ tesori, del sangue sparso dagl’Italiani, da 13 anni in qua sotto la guida del Re, e del suo Governo, ecco il frutto che s’era raccolto: avere l’Italia (la cui salute stava tutta nell’unione) divisa in due campi: l’uno costituzionale, l’altro repubblicano, e la rivoluzione cosmopolita padrona di otto o nove milioni d’uomini e di tutte le loro forze!

Così credettero avere trovato il modo del quale parlammo poche pagine addietro.

Se l’Europa o l’Italia d’oggi era come nel 1849, l’avevano trovato pur troppo, e si ricadeva peggio d’allora: e se ciò non accadde, non fu per mancanza di coloro de’ quali un popolano fiorentino disse con pittoresca espressione: E’ brucierebbero l’Italia per cuocersi un par d’ova!

Ma questa volta non avevan più da fare coll’Abate Gioberti, che appena accennò voler guastar i fatti della democrazia d’allora, non fu lasciato un momento ritto. Questa volta avevano da fare col conte Cavour, ed era un altro discorso.

È giusto però riconoscere, che gli uomini medesimi i quali comandavano a Napoli l’hanno potentemente aiutato a liberarsi di loro. A forza di stravaganze hanno resa talmente evidente pel pubblico europeo, e dimostrata così

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