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XXIX.

Ben mi morraggio, s’io non ho perdono
Da l’avvenente, a cui ho tanto offiso;
Che non mi vale ditto no, nè buono
In guisa alcuna, che per lei sia ’ntiso.
Quando la veggio, paremi uno trono,
Un fuoco ardente, che mi fiere al viso;
Allora guardo intorno, se verono
Vede la pena mia, che m’ha conquiso.
Onde vi prego, e chiamavi mercede,
Che m’ perdonate, s’io aggio fallato;
Che ’l mendar voglio con opra, e con fede.
E no’ sguardar secondo il mio peccato;
Che Cristo al peccatore ave mercede,
Solo, che mende quello, ch’è incolpato.


XXX.

ad ubertino giudice.

Giudice Ubertino, in ciascun fatto,
Dove pertiene in voi verso uom Guittone,
Quanto tegno del saver vostro matto
Son folle forte in rëa condizione.
E perdo in luoco, dove è solo accatto,
Come disegno vo’ religïone,
Che non servate a Dio giustizia, o patto,
Ove interpretate orazïone.
Com’è in voi di forza, e di savere,
E d’onta, che nïente è neghittosa,
Servite al mondo, e dimandate avere;
E per molta leggiera, e venal cosa
Vi date tutto; in potendo parere,
Sembra soave a voi cosa nojosa.

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