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14 ricordi di londra.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ricordi di Londra.djvu{{padleft:18|3|0]]d’occhio, dall’altro una successione di ponti giganteschi; lungo le due rive, vicino al ponte, case robuste e nere, come vecchie fortezze, affollate disordinatamente, e pendenti a filo sull’acqua. Un po’ più oltre, grandi moli di edifizi d’aspetto sinistro, smisurate tettoie a vòlte di stazioni di strada ferrata, lunghe linee diritte come di enormi bastioni: e di là da questi, una confusione di contorni spezzati e di forme vaghe via via degradanti in leggere sfumature cineree, fino a non presentar più che un grandioso disordine di profili nebbiosi di comignoli di camini, di torri, di cupole, di campanili; e più oltre ancora, prospettive misteriose quasi di altre città lontane, che s’indovinano più che non si vedano, da una linea dentellata leggerissima che si disegna sull’orizzonte grigio. Su tutti gli edifizi vicini; poi, sui ponti, sulle rive, un color cupo d’officina, un’aria di città logora, un aspetto di forza e di fatica, un non so che di viscoso e di lugubre, come d’una città desolata da un incendio; — uno spettacolo immenso e triste.

Che strani giochi ci fa il cervello! Dinanzi a questi spettacoli che ci dovrebbero, almeno per la prima volta, assorbire lutti interi, noi scappiamo col pensiero, tutt’a un tratto, mille miglia lontano, dietro alla più futile minuzia, che non ha nessunissima relazione con quello che vediamo, e a cui sdegneremmo di pensare nella nostra vita ordinaria. Io vedevo Londra per la prima volta, e pensavo a un volume delle opere del Voltaire che avevo imprestato e non riavuto prima di partire da Torino.

Poi scordai il libro, e mi vennero a galla nella testa, come sempre succede in una città sconosciuta, mille immagini disparate di persone e di cose che per l’addietro solevo rappresentarmi in quella città come sopra un fondo di quadro; certi negozianti panciuti dei romanzi del Dickens, la regina Elisabetta, una famiglia inglese vista un giorno davanti alle porte del Ghiberti a Firenze, un gesto che fece una volta mio padre dicendo:

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