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Questi vari, ed instabili accidenti
  Mostran Borgogni pur, che ’l mal, e ’l bene
  Loco si dan, ma son maggior le pene,
  Ma son gli affanni al dipartir più lenti.
Quegli, ch’a i Medi, à gli Indi, à i Parthi diede
  Terror sovente, ancor sovente il petto
  Gravò, meno d’acciar, che di sospetto;
  Poiche Fortuna unquà non serba fede.
Però chi splende per sublime altezza,
  Che ’n mano e l’altrui vita, e l’altrui morte
  Sostien; deh non l’inganni amica sorte.
  Fugge qual lampo il fasto, e l’alterezza.
Se ’l minor di lui teme, à lui minaccia
  Poscia il maggior, qual Regno in terra spande,
  O qual Impero il Tuo poter sì grande,
  Ch’altro Impero maggior temer no’l faccia?
Quel giorno, ch’ei ridente honora tanto,
  Che l’have trà Corone, e scettri avvolto
  Girando il Sol l’obliqua fascia, (ahi stolto)
  Al suo ritorno troverallo in pianto.
Non vuol il Ciel, che sempre un viso stesso
  L’huom serbi; ond’è che i giorni atri, e sereni
  Hora d’angosce, & hor di gioia pieni
  Al Servo, al Rè stanno egualmente appresso.
E chi Borgogni mio ne l’infelice
  Mondo fù sì beato, che partendo
  Il Sol potesse dir del Gange uscendo
  Qual mi lasciò mi troverà felice?


    Al

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