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SONETTO CXXXII.

Q
Uel volto, ch’io sospiro, quel bel volto,

Che fà de’ cori altrui quant’egli vuole,
  E che me stesso à me medesmo hà tolto,
  Hoggi vedrò pria, che tramonti il Sole;
Vedrò colei, c’hà ne le guancie accolto
  Misto color di gigli, e di viole,
  Quella, cui sempre il mio pensiero è volto,
  E per cui d’avampar nulla mi duole;
Vedrò le chiare, e folgoranti stelle
  Sfavillar de le grazie alte, e divine,
  Che fan con lor piacer l’anime ancelle;
E queste à lei sì care tortorelle
  Porterò lieto, e queste matutine
  Rose, di cui non hà l’Alba più belle.

MAD. LXXVI.

A
Hi qual mi serpe al core amaro tosco,

Poiche Nisa mio Sole,
  Sole ad altrui sereno, ed à me fosco
  Produr ne gli altri amanti (ahi stelle) suole
  Col lume altero, e solo
  Rose di gioia, e ’n me spine di duolo.

MAD. LXXVII.

 

O
Mia Nisa, ò mio cor mentr’io vagheggio

Quelle tue belle chiome,
  E que’ begli occhi, io veggio,
  Io veggio in quelle il Sole, in questi Amore.
  Che l’un (ne sò ben come)
  M’infiamma, e l’altro mi saetta il core.

MADR. LXXVIII.

T
Utta cortese, e pìa

Gli angelici suo’ rài


    Nel

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