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SONETTO CLXXXVII.

N
Emico Amor anco à miei danni sorgi?

Ah non sia ver. deh per pietà mi presta
  Signor aìta, e da sì rèa tempesta
  Al porto di salute homai mi scorgi.
Sò, che del frale mio poter t’accorgi,
  Che schivar non potrà quel, che m’appresta
  Danno Fortuna al ben oprar molesta,
  Se benigno tua destra à me non porgi.
Con le lagrime accuso il fallir mio,
  E seguir ti vorrei, ma lusingando,
  Il Mondo, ancor fà, ch’io mi volga indietro.
Sì contrario è l’effetto al mio desìo;
  Perisco (ohime) terreno ardor mirando
  Se ’l bramato soccorso io non impetro.

SONETTO CLXXXVIII.

C
Ome spero trovar ripari, ò schermi

Contra l’ardente, ed ostinata voglia,
  Che ’n me raddoppia l’angosciosa doglia
  Mentr’io non oso del mio mal dolermi.
Deh sana tù questi miei sensi infermi
  Signor; e de’ pensier frali mi spoglia;
  E pria, ch’i’ lasci la terrena spoglia
  Scaccia dal cor questi amorosi vermi.
Io qual folle Narciso un sogno, un’ombra
  Piangendo seguo, e son vicina à morte
  S’al venir troppo il tuo soccorso tarda.
Deh cangia in lieta la mia trista sorte;
  Ogni affetto mortal da me disgombra,
  E l’alma per tè nata in te sol’arda.


    O               SON.

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