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  Uscite meste de gli herbosi fondi
  O Ninfe, ch’abitate i fonti, e i fiumi,
  Ed aggiungete meco (ancor che ’nvano)
  Lagrime al pianto; e voi
  Lasciate ò molli herbette,
  Lasciate il vostro verde: hor più non lice
  Di smeraldo portar gonna ridente.
  Dipinti Augei, che per le Tosche selve
  Di ramo in ramo saltellando andate
  Dite nel vostro canto
  La gloria d’Arno, e la sua pompa è morta.
  Morta è la nobil Donna,
  Che fù del viver mio securo appoggio;
  E brev’urna sotterra
  Gran beltà, gran virtù, gran lode serra.
  Ma che dich’io? sua lode intorno scorre,
  Ed ha solo per meta i Poli, e ’l Cielo
  Dov’hor si posa la bell’alma, e lieta
  Vagheggia à voglia sua quel che noi tanto
  In dubbio pone. à noi stà sopra il Sole
  Con gli altri ardenti lumi;
  E ben c’huom si consumi
  Ne l’intender la forza, e i moti loro
  Al ver però non giunge;
  Ed ella à pien gli intende, e gli fruisce.
  Hor noi di sì gran perdita dolenti
  Poco il pomo curiam, poco la fonte,
  Perche la fame l’un, l’altra la sete
  E domi, e vinca, in altra parte il sonno
  Sparga pur sua quiete: à noi non cale,
  Ch’ei dal Mondo ne sciolga, ò da noi stessi.
  Et io, che più d’ogn’altra afflitta vivo


    Ben

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