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  Al tuo sparir tuffossi in grembo à Theti;
  Nè più sorge à ’ndorar de gli alti Monti
  Le alpestri cime; anzi l’oscura notte
  Con l’ali ombrose ogn’hor la terra ammanta.
  Gli Olmi, le Querce, i Faggi, i Lauri, e i Mirti
  Piangon lor vaghe spoglie à terra sparse;
  Nè più su i rami lor cantan gli Augelli
  Come solean. solo v’alberga, e stride
  La Nottola infelice, e ’l mesto Gufo.
  Stassi ne le sue foci Arno dolente,
  Ed al Tirreno Mar nega l’usato
  Tributo; onde assetate son le rive
  Del bel Tosco terren, c’hor mesto langue;
  Cercan le Ninfe i più deserti alberghi;
  Risuonan de’ Pastor le strida intorno;
  Geme la Terra, ed à le piante nega
  L’humore; ed esse negano le frondi,
  E i frutti à i rami lor; negano i campi
  A noi le biade; e dan loglio, ed ortica
  In quella vece; i fior lasciano l’herbe,
  E lascian l’herbe ignudi i Prati, e i Colli.
  Quante Fere più fiere il bosco alberga
  Di spaventevol suon la Valle, e ’l Monte
  Empion’ alhor, che da furore spinte
  Vanno scorrendo de l’Etruria i campi.
  Lascian le Gregge, lasciano gli Armenti
  Il cibo, il fonte, e la già cara prole.
  Dunque se gli Animai di ragion privi
  S’affligon sì; noi, che ragione habbiamo
  Anco à ragion pianger debbiam colei,
  Che mentre se medesma in pace hà posta
  Hà noi lasciati in guerra. Alma beata,


    Che

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