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  Nel mio pianto la face,
  Ond’ardo, e non hò pace.
  M’hà formate di cera due grand’ali,
  Con le quali à sua voglia alto mi leva,
  Perche distrutte poi
  Da’ raggi del mio Sole
  Repente io caggia nel profondo Abisso
  De le mie gravi pene;
  Se poi levarmi io tento,
  Egli con fiera mano
  A ricader di novo mi costringe,
  Onde invan m’affatico, e sudo invano
  Per ritrovar salute.
  Per lui cangio sovente
  Color, ma (lasso me) non cangio mai
  De l’ostinato core
  L’empia ostinata voglia.
  Ei vuol, ch’à meza notte io brami il giorno,
  E come appar nel Cielo
  La rosseggiante Aurora,
  Da le Cimerie grotte
  Vuol, ch’io chiami la notte;
  Poscia egualmente vuol, che notte, e giorno
  Mi spiaccia, ed egualmente
  Mi dia la notte, e ’l giorno angosce, e guai.
  Ma tù potresti ben trarmi di pene
  O mia Nigella amata
  Col mostrarmiti grata.
  Deh piega il cor altero
  A gli honesti miei preghi.
  Ahi dispietata Ninfa
  Per te sospiro, ma sospiro invano.


    R               Lasso

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