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  Destò più volte il suo pastor gentile;
  Per cui cangiò le stelle
  Ne l’aspra cima d’un sassoso monte.
  Lo Dio del fosco, e tenebroso mondo
  (Lasciate l’alme dei profondi Abissi
  A le continue pene, al pianto eterno)
  Co’ negri suoi destrieri à l’aria uscendo
  Di Cerere rapì l’amata figlia,
  Mentr’ella baldanzosa
  Per le piagge intesssèa fragole, e fiori,
  E del gran Regno suo Donna la fèo.
  D’Alcmena il figlio altero
  Del tuo gran foco acceso
  Lasciò in disparte l’arco
  Le saette, e la clava,
  E del Leon la spoglia,
  Ed al ruvido crin lasciò dar legge
  Sparso d’amomo, e ’n rete d’oro accolto;
  E con la man di mille palme adorna,
  E vincitrice di tant’alte imprese
  Da la conocchia trasse
  Lo stame; e con le forti
  Dita torcendo il fuso
  Spezzollo; indi à sua Donna il peso eguale
  Di quel, che dianzi havèa tolto per opra
  Quasi femina vil tremando rese;
  Gli homeri suoi possenti
  Già colonne del Cielo
  Per la sua bella Donna
  Coperti fur di lascivetta gonna;
  E ’ntanto Amor col pargoletto piede
  Con gli aspri, e duri velli


Del

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