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SONETTO XXV.

 

G
Ià vidi occhi leggiadri, occhi, ond’Amore

M’incende, in voi bella pietà scolpita
  Che dolce lusingando al mio dolore,
  Al mio fido servir promise aita.
Hor veggio (lassa) il troppo folle errore
  D’ingannato pensier, d’alma tradita;
  Veggio, che discacciata (ohime) dal core
  La pietade ne gli occhi era fuggita.
O sospirati in van dolci riposi
  Quali havranno i miei giorni hore tranquille?
  Qual guiderdone i miei martiri ascosi?
Deh potessero almeno in voi le stille
  De l’amaro mio pianto occhi amorosi
  Quel, che possono in me vostre faville.

SONETTO XXVI.


Q
Uando Sdegno gli sproni aspri, e pungenti

Mi pone al fianco il cor di te si duole;
  Ond’io formo i concetti, e le parole
  Da sfogar teco i duri miei lamenti;
Ma come al gran soffiar de’ maggior venti
  Caliginosa Nube fuggir suole:
  Così nel tuo apparir vago mio Sole
  Parte lo sdegno, e fuggono i tormenti.
Se di lagnarmi poi prendo consiglio
  Finisco al cominciar le gravi offese,
  E ride il cor quand’è severo il ciglio.
Madre così qualhor tremante rese
  Con le minaccie il pargoletto figlio
  Tanto l’accarezzò, quanto l’offese.


Per

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