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  Il volto di ligustri, e di cinabro
  Asperso cui non arde? e qual sent’io
  Destarsi in me d’amor nobil desio
  Dal gentil riso, e dal vermiglio labro?
Anzi de la bell’alma, che s’honora
  Sol di se stessa il moto, ed ogni detto
  Con piacer singolar l’alme innamora.
Beato il giorno, e fortunata l’hora,
  Ch’Amor dolce per lui m’aperse il petto,
  Felice il cor, che la sua Imago adora.

SONETTO XXXII.

D
I quel bel volto gli amorosi rài

Fur prìa dal cor, che da quest’occhi intesi;
  Così da i lacci à mio sol danno tesi
  Prìa che vedergli ancor presa restai.
Cominciò ’l fianco infermo à tragger guai,
  Nè gli eran’ anco i suoi martir palesi;
  E perche fosser più gli spirti offesi
  Senza saper s’io pur amassi amai.
Tutto dentro avampar sentimmi il core,
  Nè de l’incendio mai favilla scorsi
  In fatal cecità la mente immersa.
Volèa ben poi dal micidial ardore
  Fuggir; ma quando (ohime) di lui m’accorsi
  Mi trovai tutta in cenere conversa.

SONETTO XXXIII.

S
Peme fallace à che pur l’ale impiumi

Al mio vano desir, perch’ei conforte
  L’Anima trista? tue lusinghe accorte
  Troppo conosco, e gli empi tuoi costumi.


    C          Scio-

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