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Ahi che salute à me sperar non lice;
Se fuggir bramo, e ’l non poter mi rende
Ne l’infelicità viè più infelice.
SONETTO XLVI.
Senza governo in tempestoso Mare;
Nè veggio chi le tenebre rischiare
Del mio dolor, nè alcun soccorso miro;
E ’ncontr’al Cielo à gran ragion m’adìro,
Poi ch’Orìon sol per me (lassa) appare;
E mi s’ascondon le bramate, e chiare
Luci de i figli, che di Leda uscìro.
Crescono ogn’hor le horribili procelle,
L’aer tutte le ’ngiurie, e i furor suoi
Mostra contra ’l mio stanco afflitto legno.
Aura ’l tuo fiato sia, sien gli occhi stelle
Sia porto il seno, ch’io non curo poi
Di Nettuno, e del Ciel tempesta, ò sdegno.
Capitolo I. Con ogni terzo verso del Petrarca.
Impossibil sarà, ch’io fuggir possa
L’hore del pianto, che son già vicine.
D’ogni letizia la mia fronte è scossa.
Ahi destin crudo, ahi mia nemica sorte
Hor hai fatto l’estremo di tua possa.
Deh chi m’insegna le mie fide scorte,
Deh chi m’insegna (ohime) dove dimora
Mio ben, mio male, mia vita, e mia morte?
Mi |
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