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di cino rinuccini 21

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Se giammai penso alla mia vita affisso
  Quant’ella è frale, e come morte strugge
  Ciò ch’è nel mondo, e come il tempo fugge,
  4Spesso contra di me m’adiro e risso.
E dico; fa che ’l tuo cor sia discisso
  Da’ ben mondan, co’ qua’l’anima adugge:
  Nè irato leon per febbre rugge
  8Quant’io me riprendendo in questo abisso.
Ed ogni dì muto nuovo consiglio,
  Pensando ed ordinando la mia vita;
  11Così deliberando a morte corro.
E sempre avvien che pure il piggior piglio;
  Onde l’anima trista sbigottita
  14Merzè, Iesù, ti grida in questo borro.




Non fur vinte giammai arme Latine,
  Nè la Greca scïenza fu avanzata,
  Nè nulla fu sì di bellezze ornata
  4Che vincesse le donne Fiorentine.
Ben fu formata da virtù divine
  Questa che per Idea dell’altre è data,
  Ed ha in se virtù, che chi le guata
  8Fanno gentil, leggiadre e pellegrine.
O gioghi Parnasei, o sante Muse,
  O Minerve, o Apollo, o gran poeti,
  11Perchè non siete in polpa, in ossa, in vena?
Voi non aresti mai rime diffuse
  Nè mai dettati versi tristi e lieti;
  14Sol canteresti la latina Elèna.

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