< Pagina:Rime di Argia Sbolenfi.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

prefazione XVII

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Rime di Argia Sbolenfi.djvu{{padleft:19|3|0]]

Nè vale sfoderare illustri esempi. Ma chi oserebbe parlare del Berni, del Burchiello od anche dei poeti maccheronici o fidenziani a questo proposito? Certo, in quei capitoli e in quei sonetti c’è il doppio senso, l’allusione mal velata, la forma volutamente pedestre; ma il punto di partenza è proprio diametralmente opposto a quello da cui parte la nostra poetessa. Il Folengo, per esempio, par che voglia rifare (almeno nella Zanitonella), il contadino che si sforza di parlare come il cittadino, l’idiota che si sforza di parlar colto. Qui invece è la persona colta che si sforza di parere abbietta. Là c’è uno che vuoi uscire, come il Vallera della Nencia, dal dialetto e dalla rusticità e cerca il comico nel tentativo di elevarsi alla dignità dell’arte; qui, al contrario, abbiamo la ricerca del comico intervertita, la rappresentazione di una persona colta che, per far ridere, si abbassa e si infanga in tutti i letamai che trova per via. Là c’è una caricatura del tentativo di salire, qui del discendere. Là c’è il pagliaccio che esce dal circo e s’ingegna di far intendere che, uomo anch’egli, soffre ed ama; qui abbiamo invece

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.