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capitolo xii. — il cacciatore di prateria. 99

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Il messicano distese per terra il suo serapè di mille colori, invitò gli ospiti a sedervisi attorno, e servì le costolette e le tortillas, unendovi due bottiglie di mezcal, specie di acquavite che si estrae dalle radici dell’agave, e un pacco di deliziosi sigari.

— Dunque, — riprese mentre il barone e i tre negrieri lavoravano di denti, — il colpo è riuscito bene?

— Sì, ma per poco non siamo stati appiccati, mio caro Ramieroz, — rispose di Chivry.

— Si sono accorti del rapimento, i parenti del marchesino?

— Nel momento no, ma più tardi di certo.

— Che abbia dei sospetti suo zio?

— Non lo credo.

— Non ti ha veduto?

— No.

— Ne sei certo?

— Certissimo, poichè egli dormiva quando rapii il marchesino.

— Il capo sarà doppiamente contento.

— Ma quale capo? Ti spiegherai almeno una volta?

— Non posso, di Chivry.

— Ma cosa si vuol fare del marchesino?

— Lo ignoro.

— E chi è che ti ha incaricato di farlo rapire?

— Il capo indiano.

— Non riuscirò mai a capir nulla.

— Lo credo, — disse il messicano sorridendo.

— Che voglia vendicarsi dei Mendoza-Araniuez?

— Tutt’altro!

— Conosce almeno Almeida?

— L’ha veduto molti anni fa, quando il marchesino era piccolo, quasi un bambino.

— Forse un tempo è stato al Brasile il tuo capo?

— È possibile.

— Che sia un parente dei Mendoza?

— Non lo so.

— È vecchio il capo?

— No, ma credo che non vivrà molto.

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