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capitolo xii. — il tradimento. | 225 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Salgari - Il re della prateria.djvu{{padleft:231|3|0]]cato in quel breve riposo, ed allungava sempre fendendo impetuosamente le alte erbe della prateria.
Gli Indiani non aizzarono i loro animali, che mantenevano, con una resistenza incredibile, il loro galoppo serrato.
Un’ora dopo, il mustano di Sanchez tornava a dare segni di stanchezza: dal mattino aveva percorso quasi quaranta miglia senza bere un sorso d’acqua e senza mangiare un filo d’erba. Doveva essere stremato di forze, e se non gli dava un altro riposo, non doveva proseguire ancora per molte miglia.
Sanchez si alzò sulle staffe e guardò innanzi a sè. Là, dove la prateria confondevasi col cielo, si scorgeva come una forma indecisa alzarsi in punte aguzze. Poteva essere una lontana nube od una lontana catena di montagne.
La osservò a lungo con profonda attenzione, poi mise un sospiro di soddisfazione.
— La Sierra Carriso! — mormorò. — Venti miglia ancora!... Resisterà il mio cavallo fin là?...
Si volse indietro e guardò: un grido di rabbia gli uscì dalle labbra compresse.
— Sono perduto! — mormorò.
La banda indiana era a soli cinquecento passi; ma quantunque fosse composta ancora di trenta cavalli, mezzi indiani erano scomparsi.
— Canaglie! — esclamò il messicano, impallidendo. — Ora comprendo la vostra manovra! Avete lasciato i vostri compagni per tenervi dei cavalli freschi da cambiare. Ah! È così! Ebbene, se io non ho cavalli da cambiare, farò galoppare il mio come il vento! Sarà un trattamento crudele, ma la mia pelle e quella dei miei compagni valgono più di quella d’un mustano. —
Balzò a terra ed aprì il machete, la cui larga e lunga lama tagliava come un rasoio. Afferrò il cavallo pel morso e con due rapidi colpi gli tagliò le nari. Il povero animale a quell’orribile mutilazione gettò un nitrito di dolore, e parve che impazzisse; ma Sanchez lo teneva con pugno di ferro.
Approfittando d’un istante di sosta, balzò agilmente in groppa e spronò furiosamente.