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232 | emilio salgari |
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I tre europei e l’arabo fecero un’ultima scarica, poi ripiegarono verso la caverna, inoltrandosi nel corridoio.
Alcuni negri imbaldanziti dalla vittoria si provarono ad inseguirli e caddero morti o feriti presso l’entrata della galleria.
Gli altri, diventati prudenti, si arrestarono fuori, urlando ferocemente.
— Venite avanti se osate! — gridò Ottone.
Una voce stentorea rispose subito: — Che gli uomini bianchi mi ascoltino!
— Altarik! — esclamò El-Kabir, puntando il fucile.
— Cerchiamo di ucciderlo — disse Matteo.
— Non è così sciocco da mostrarsi — disse l’inglese. — Si tiene nascosto dietro l’angolo della roccia.
— Che gli uomini bianchi mi ascoltino! — ripetè l’arabo.
— Parla — rispose Ottone con voce tuonante.
— Voi siete ormai nelle mie mani.
— Non ancora — rispose il tedesco. — Abbiamo delle munizioni da consumare.
— Vi avrò fra poco.
— E che cosa vuoi conchiudere?
— Voglio proporvi delle condizioni.
— Parla.
— Io vi accordo la vita purchè mi lasciate la polvere d’oro ed il vostro pallone.
— Non avrai nè l’una nè l’altro.
— Allora aspetterò la vostra morte! — gridò l’arabo con voce minacciosa.
— Non la temiamo — disse l’inglese.
— Fra poco me lo saprai dire — gridò l’arabo, allontanandosi.
— Che costui speri di farci morire di fame? — disse Matteo — Noi non abbiamo nemmeno un boccone di pane.
— Purtroppo! — esclamò Ottone.
— E siamo in venti — disse l’inglese.
— Cosa faremo se questi negri ci assediano?