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La leggenda dell'Eldorado 19

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Salgari - La Città dell'Oro.djvu{{padleft:27|3|0]]dissodate le terre, abbattute le secolari foreste ed aveva piantato parecchie migliaia di canne di zucchero. A poco a poco la prosperità era entrata nella sua piantagione e nuovi schiavi erano stati aggiunti ai primi e nuove capanne erano state erette in quelle solitudini appena visitate da radi indiani.

Nel 1846, epoca in cui comincia questa veridica istoria, la piantagione di don Raffaele Camargua era una delle più belle di tutta la grande vallata dell’Orenoco.

Duecento schiavi fra indiani e negri la lavoravano; un piccolo villaggio, difeso da solide palizzate, una bella casa munita d’una spaziosa terrazza dalla quale si dominava un vasto tratto del fiume gigante ed abbellita da verande sulle quali il proprietario amava schiacciare i suoi sonnellini in una comoda amaca di fabbricazione indigena, e una grande distilleria si specchiavano nelle acque dei due fiumi; un numero ragguardevole di canotti d’ogni dimensione sonnecchiavano sulle sponde, destinati a recare ad Angostura una volta ogni due mesi i carichi di zucchero ed il cascaça[1] ricavato dalla distilleria.

Giunto all’apice della fortuna don Raffaele, che non

  1. Specie di tafià che si estrae dalla canna da zucchero.
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