Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
lettere di fra paolo sarpi. | 127 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:135|3|0]]carità si riguardi, erano fra loro scismi e contese, come nel Cap. I e II; nè lievi, ma tali che dividevano il Cristo. Se trattisi dei costumi, intorno a ciò (Cap. V) leggiamo: «Si commette fra voi fornicazione, quale non si ode nemmeno fra’ gentili.» Se dei riti è questione, sta scritto (Cap. II): «Già non è mangiare la cena del Signore;» e se, finalmente, della dottrina (il che credo ch’Ella stesse aspettando), è nel Cap. V: «Perocchè alcuni tra voi asseriscono che non ha luogo la resurrezione dei morti.» La S.V. ricorderà che fra tutti gli scrittori non n’ha veruno più modesto nel riprendere, di quel che fosse san Paolo; e ponendo mente alle altre censure di lui, si accorderà meco nel creder queste, per quanto potevasi, temperate. Ma circa a quel luogo di san Paolo dove si parla dell’edificio innalzato sulle fondamenta della fede, non mi è ignoto in qual guisa venga dai più tartassato; volendo alcuni che edifici sieno le opere, non la dottrina; altri, che questa pur sia, ma dottrina curiosa. I tempi nostri hanno duopo di un Democrito, ossivvero d’un Eraclito. Ogni cosa noi deriviamo dagli scritti e dalla dottrina degli antichi; ma insieme cambiammo il senso di tutte le voci da quelli usate. Non è più per noi la cosa stessa ciò ch’essi chiamavano papa, cardinale, diacono, chiesa, cattolico, eretico, martire. Che più? Tutto abbiamo pervertito; e mentre si fa professione di produrre i monumenti degli antichi, rechiamo in mezzo i nostri soltanto.
Ma io l’ho lungamente trattenuta con queste ciance, togliendole tempo alle cose di maggior pro. Presi a scrivere coll’intenzione di esser breve, ma non so in qual modo mi portasse tant’oltre la pen-