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lettere di fra paolo sarpi. 445

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Passò poi a dirmi, che io ero religioso, e toccava a me consigliare V.E. illustrissima di quello ch’era bene. Io dissi che V.S. non si serviva di me per consigliare negli affari del governo, perchè non aveva bisogno di consiglio; ma solo in qualche causa di giustizia tra il Principe e li sudditi, ovvero tra li sudditi medesimi. E perchè egli si rendeva difficile ad assentir a questo, io lo supplicai più volte di crederlo. Passarono diverse parole di complimento, ed essendo il ragionamento durato circa un’ora, il signor principe si partì.

Questa è la sostanza de’ discorsi, che durarono circa un’ora, e passarono dal canto mio con tutti li termini di reverenza, e dal canto del principe con ogni dimostrazione di abbondante umanità; essendomi però restato concetto nell’animo, attese le cose precedenti, e giunti qualche altri indicii, che quel signore non mi abbia detto tutto quello che aveva disegnato dirmi.

Ma piacendo a V.S. intender anco le cose che passarono precedentemente, aggiungerò che, essendo arrivato il signor principe in questa città la domenica 13 del mese corrente, il lunedì seguente venne al monasterio, accompagnato solamente da due dei suoi, e addimandò di parlarmi. Il frate che attende alla porta, avendo così commissione da me sempre che son ricercato da persone non conosciute, rispose che io non ero in casa. Il giorno seguente, tornò il signor principe, accompagnato con alquanti e con due nobili di questa città, ricercò di parlarmi e disse di essere il principe di Condé. Li fu risposto parimente che io non ero in casa; ed uno di que’ gentiluomini disse, saper molto bene che io vi era, e

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