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372 SATIRE
Né porre in dubbio, se lo scelerato, Che la sua gola insanguinò primiero, Ci avesse gusto. Un uom che faccia tanto D' addentare un cadavere, gli sembra Che non ci sia miglior vivanda: e infatti Uno di lor che giunse tardi e quando Il fiero pasto era finito, in terra Sfregò le mani, e ne leccò quel sangue. Dei Guasconi si narra che una volta Con un tal cibo di lor vita il corso Ebbero prolungato: '^ ma diversa È la faccenda: su di lor pesava L' odio della fortuna, i tristi effetti D'una guerra infelice, e la crudele D'un lungo assedio scarsità: laonde L' esempio di tal cibo è degno in essi Della nostra pietà; perchè sol quando Ebber finito tutto; erbe, animali Ed ogni cosa, a cui del vuoto ventre Li spingeva la rabbia ; e macilenti
Sustinuit, nil uinquam liac carne libontius odit:
Nam scelere in tanto ne quaeras et dubites an
Prima voluptatem gula senserit ; ultimus autem 90
Qui stetit, absumpto iam tote corpore, ductis
Per terram digitis aliquid de sanguine gustai.
Vascones, haec fama est, alimentis talibus olim Produxere animas: sed res diversa, sed illic Fortunae invidia est bellorumque ultima, casus 05
Extremi, longae dira obsidionis egestas. Huius enim, quod nunc agitui% miserabile debet Exemplum esse cibi, sicut modo dieta mibi gens Post omnes herbas, post cuncta animalia, quidijuid Cogebat vacui ventris furor, hostibus ipsis 100
Pallorem ao maciem et tenues raiserantibus artus,