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Lettore, se vai nel numero di coloro, che gridano sacrilegio a tutti gli ardimenti di stile, se con cuore assiderato, e rattratto dalla superstiziosa pedanteria ti accosti alla lettura di Persio; non toccar Persio: egli è libro scomunicato per tutte le anime paurose, egli dichiara altamente, egli stesso, di non volere a lettori, che ingegni caldi e bollenti.
Se ad ogni parola del pedestre idioma latino (come pure dell’italiano, rispetto alla traduzione), se ad ogni bizzarra metafora, se ad ogni comparazione o troncata, o serrata in un termine solo, se a tutte le allusioni, ch’egli fa di continuo agli antichi costumi, alla storia, alla favola, alla stoica filosofia tu pretendi schiarimento e ragione; va lontano da Persio: egli è un Quaquero che per ogni mille parole non ne risponde che una, e bene spesso nessuna. Se speri finalmente trovarvi idee terminate, limpide transizioni, legami evidenti tra ciò che precede, e ciò che consegue; non aprir Persio: egli è una voragine che assorbisce tutti gli spiriti dilicati, ed avvezzi al pancotto.
Ma per renderlo intelligibile tu dunque ci affogherai in un lago di note. Tutto il contrario. Le troppe note hanno moltiplicato le tenebre su questo poeta. Le poche lo faranno forse più chiaro.
Le pongo in fine, non a seconda del testo, perché le note appiè di pagina non sono ordinariamente che distrazioni, oltre l’essere un guasto dell’edizione.