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  Di Saturno, e cangiò l’urne di Vesta,
  E l’etrusche stoviglie. Oh de’ mortali
  Alme curve nel fango, e del ciel vote!
  85A chè nostri cacciar vizj ne’ templi,
  E stimar grato a Dio ciò che gradisce
  A nostra polpa scellerata? È questa
  Che le casie stemprossi in guasta oliva,
  Questa il calabro pel cosse in vermiglio,
  90Questa ne spinse a dispiccar la perla
  Dalla conchiglia; e monde dalla polve
  Del fervente metal strinse le vene.
  Pur s’ella pecca, (e certo pecca) almeno
  Del peccato si giova. Ma ne’ templi
  95L’oro a che serve? a che per dio? Ne ‘l dite
  Voi, Sacerdoti. Ciò che appunto a Venere
  La mimma, che donò la verginetta.
Che non piuttosto per noi s’offre ai Numi
  Ciò che offrir non potrà da sua gran mensa
  100Del gran Messala la perversa prole?
  Pietà, giustizia, in cor scolpite; i santi
  Della mente segreti, e caldo petto
  D’onestà generosa. A me ciò dona,
  Che al tempio il rechi, e literò col farro.

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