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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Persio).djvu{{padleft:49|3|0]]
Qui alcun dirà centuríon caprajo:
Quel ch’io so m’è d’assai. Non i’ esser detto
114Un Arcesila cerco, un pien di guajo
Solon, che gli occhi a terra, il mento al petto
Brontola seco, ed acri idee maciulla,
117Col labbro in fuor pesando ogni concetto.
E che diavolo alfin pel capo ei rulla?
Sogni d’inferma età: nulla crearsi
120Dal nulla, e nulla ritornar nel nulla.
E ciò ti sbianca? e i desinar fa scarsi? —
E quì ridere il volgo, e i ragazzoni
123Crispar tremulo il naso, e smascellarsi.
Che un egro dica al Fisico, supponi:
Guarda, dottor; la causa m’è nascosa,
126Ma i polsi andar mi sento a balzelloni:
E grave assai nella gola affannosa
Pute il fiato; m’esamina ben bene.
129E quei: ti guarda da stravizzi, e posa.
Poiché quetate circolar le vene
Sentì l’egroto nella terza notte,
132Chiede il bagno, e un fiaschetto in pria di lene
Sorrentin cionca di patrizia botte.
— Che festi, amico mio? Tu m’hai figura
135Da morto. — È nulla. — Che che sia, dirotte
Che porvi tutta ti convien la cura.
Ve’ che ti serpe tacito un giallore
138Su per la pelle. — Tu più ch’io l’hai scura.
Non curarmi i miei fatti; il mio tutore
L’ho sepolto ch’è un pezzo, e tu sol resti.
141— Tira innanzi, io mi taccio. — Ito il dottore,