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Qui alcun dirà centuríon caprajo:
  Quel ch’io so m’è d’assai. Non i’ esser detto
  114Un Arcesila cerco, un pien di guajo
Solon, che gli occhi a terra, il mento al petto
  Brontola seco, ed acri idee maciulla,
  117Col labbro in fuor pesando ogni concetto.
E che diavolo alfin pel capo ei rulla?
  Sogni d’inferma età: nulla crearsi
  120Dal nulla, e nulla ritornar nel nulla.
E ciò ti sbianca? e i desinar fa scarsi? —
  E quì ridere il volgo, e i ragazzoni
  123Crispar tremulo il naso, e smascellarsi.
Che un egro dica al Fisico, supponi:
  Guarda, dottor; la causa m’è nascosa,
  126Ma i polsi andar mi sento a balzelloni:
E grave assai nella gola affannosa
  Pute il fiato; m’esamina ben bene.
  129E quei: ti guarda da stravizzi, e posa.
Poiché quetate circolar le vene
  Sentì l’egroto nella terza notte,
  132Chiede il bagno, e un fiaschetto in pria di lene
Sorrentin cionca di patrizia botte.
  — Che festi, amico mio? Tu m’hai figura
  135Da morto. — È nulla. — Che che sia, dirotte
Che porvi tutta ti convien la cura.
  Ve’ che ti serpe tacito un giallore
  138Su per la pelle. — Tu più ch’io l’hai scura.
Non curarmi i miei fatti; il mio tutore
  L’ho sepolto ch’è un pezzo, e tu sol resti.
  141— Tira innanzi, io mi taccio. — Ito il dottore,

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