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SATIRA V.
Antica d’ogni vate usanza è questa
Cento bocche augurarsi e cento voci
3E cento lingue, o imprenda a cantar mesta
Favola da gridarsi a larghe foci
Dal Tragedo, o le piaghe de’ traenti
6Dall’inguine lo stral Parti feroci.
C. Dove scappi? A che tanti infarcimenti
Giù t’incanni di carme giganteo
9Da voler cento strozze? Alti-loquenti
Imbottin nebbia i vati, a cui d’Atreo
O di Progne la pentola sobbolle,
12Frequente cena di Glicon baggeo.
Tu mentre il ferro al foco si fa molle,
Non premi i venti nel mantice anelo,
15Nè con chiuso romor non so che polle
Grave gorgogli, che non vaglion pelo;
Nè per iscoppio far gonfi la bocca.
18A pacato parlar tu drizzi il telo:
Acre, unito, rotondo, e corto scocca
Tuo stil, radente i rei costumi, e fiedi
21La colpa d’uno stral che scherza e tocca.