< Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
68 capitolo quattordicesimo

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu{{padleft:124|3|0]]

Sai qual carbonchio,
  Qual gemma tiene
  Sull’altre merito?
  52L’esser dabbene.

Sposa, che d’aria
  Tessuta vesta,
  Che in nube serica66
  56Ignuda resta,

Si che ne appaiano
  Di fuor le membra,
  Iniqua e laida
  60Cosa mi sembra.


Qual crediam noi, seguì Trlmalcione, il più difficile studio dopo quel delle lettere? Io penso che sia quel del medico, e del banchiere. Il medico, il qual deve sapere cos’abbiam tra le viscere noi omiciattoli, e il tempo in cui vien la febbre; (sebben io gli abborra, perchè mi van sempre ordinando de’ diluenti); e il banchiere, che è soggetto a prender le false per le vere monete.

Laboriosissime bestie sono i bovi e le mute pecore. I buoi, perchè è lor benefizio il pan che mangiamo: le pecore, perchè della lor lana noi andiamo pomposi. Ed è pure una grande malvagità, che alcuno mangi una pecorella, intanto che del suo pelo si veste. Ma bestiole divine credo io le api, le quali vomitan mele, checchè si dica, che lo ricevan da Giove: con tutto ciò, esse pungono, perchè dappertutto ove è il dolce, trovasi ivi appresso l’amaro.



    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.