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arte poetica. poemetto, ecc. 161

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Il terreno spaccò. Fortuna allora
Dal facil petto queste voci trasse:

  Padre, che agli antri di Cocito imperi,
155Se il vero impunemente a me dir lice
Fian paghi i desir tuoi, che in questo seno
Non ferve ira minor, nè minor fiamma
Le midolle mi accende. Io quanto feci,
Onde Roma sia forte, abborro, e sdegno
160Ho de’ miei doni: ma lo stesso Dio
Abbatterà quel che innalzò colosso:
Che in cor mi sta di struggere costoro
E di sangue impinguar sì ingordo lusso.
Ben io già veggo di Filippi i campi
165Degli alterni cadaveri coperti,
E i roghi di Tessaglia, e i funerali
Della iberica gente, e Libia veggo,
E le tue sponde altogementi, o Nilo.130
Già fragor d’arche negli orecchi mugge
170Intimoriti, e negli azziaci flutti,
Che gli strali paventano d’Apollo.
Or tu del tuo dominio i sitibondi
Regni spalanca, e nuove ombre vi accogli.
Ma tante non potrà Caron varcarne
175Nella barchetta sua: di flotta è d’uopo.
O pallida Tesifone potrai
In tanta strage satollarti allora,
Allor lambir le sanguinose piaghe,
A brani il mondo piomberà tra’ i morti.
180Mentre il suo dir finìa, da rotta nube
Un chiaro lampo strepitò, poi svenne
L’uscita fiamma. A quel tuonar curvossi
Il Signor dell’inferno, e impallidito
Per lo timore de’ fraterni strali
185Si nascose nel grembo della terra.

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