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144 | rivista contemporanea |
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Veglia e lavora, paga il tuo pane,
Da mane a sera, da sera a mane.
Veglia e lavora sempre così90
Fino alla fine de’ tuoi brevi dì.
Sempre così!
Ma più della miseria e della fame
Può la voce del cor che regge il mondo.
Quelle due sventurate anime grame95
Sentiro il tocco d’un amor profondo.
E sciolto il freno all’amorose brame
Uscir’congiunti dal tugurio immondo,
E lungo il fiume, sotto il cielo azzurro,
Errar’del vento e dell’acqua al susurro.100
Nei propinqui palagi ardono intanto
Ricchi doppieri e profumate faci:
S’alternano le danze al lieto canto,
Scoppiano i motti, le lusinghe, i baci.
Copre la notte col discreto ammanto105
Liete venture, e voluttà procaci.
Copre costì la colpa ornata d’oro,
Qui il dolore incompianto e il van lavoro.
Il dì seguente ai primi albor del giorno,
Mentre l’ultimo cocchio iva sonante,110
II cantoniere che vegliava intorno
Vide sull’acqua un non so che natante.
Eran due corpi che travolti andorno,
Dalla corrente, un uomo ancora aitante,
E al suo collo avvinghiata una donzella115
Pallida, e nella morte ancor più bella.
Furon tratti dall’onda, e furo esposte
Le ignote salme con pietosa cura.
Anzi alla bara dove furon poste
Sorgeva immota un’invida figura,120
Le mani adunche, le chiome scomposte,
E la sembianza avea beffarda e scura.