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il collare di budda | 115 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Senso.djvu{{padleft:117|3|0]]rattere gotico le tre lettere F. A. Q. e con una pezzuola lo andava ripulendo. Gli venne una idea, che lo rallegrò: la collana poteva essere d’argento. Si vestì in fretta. Il goletto, i polsini posticci, bianchi di bucato, erano appiccati ad una camicia un po’ sudicia; ma il vestito nero pareva nuovo e fatto apposta per il corpo allampanato del nostro Gioacchino. Solo i calzoni leggeri lasciavano sconciamente intravvedere, appena sotto alle ginocchia, le trombe degli stivali. Certo quegli stivali, ereditati da uno zio, erano larghi per le gambe magre, e nei calori dell’estate dovevano dare gran noia. Insomma Gioacchino uscì tenendo in mano il monile, e a cento passi dalla sua casa entrò in una botteguccia piccola, bassa, che aveva nella vetrina qualche orologio d’ottone, qualche enorme cipolla d’argento, cinque o sei catenelle d’acciaio e alcune paia di orecchini d’oro sospetto.
Mettendo il piede sulla soglia non ci vide più nulla: bujo pesto. Ma un po’ alla volta cominciò a distinguere le cose. In un angolo, dove entrava un tantino di luce di riflesso pallida, stava un vecchio con gli occhiali sul naso, che guardava, attraverso ad una lente grossissima, la carcassa di un orologio sconquassato.
— Oh, signor Gioacchino! È un pezzo che non la si vede. C’è qualcosa da comprare?
— No, ho bisogno di un favore.
— Eccomi pronto, purchè non sieno denari. Potrebbero strapparmi sette denti, come per