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I.
Era l’ultimo giorno dell’anno, un anno pieno di malinconie e di fastidii.
Avevo pagato il conto all’oste dei Tre Turchi, e m’ero acconciato nella carrettella, che doveva condurmi al Santuario: una salita di settecento metri, a dir poco. Il sole cadente picchiettava di ombrette e di scintille il fango della strada, il quale, schizzando a destra e a sinistra, pareva borbottasse pettegolo contro le ruote, che ne disturbavano la quiete molle. Su quella mota nerastra, tormentata a lunghi intervalli dai pesanti carri delle ferriere vicine, si distendevano ampie striscie o s’alzavano grandi cumuli di neve, chiazzata qua e là di brutte macchie di melma e bruna al paragone dei lenzuoli candidi, che coprivano i campi ondeggiati, divisi da fossatelli, e i tetti dei casolari e delle villette sparse