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176 quattr’ore al lido

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Senso.djvu{{padleft:178|3|0]]fondo del colore smeraldino una sirena bionda. Bevevo l’acqua salata. Tornavo fuori con la testa, quando mi mancava tutta l’aria nel petto, e aspiravo in furia, e sbuffavo, e in ogni boccata d’aria c’era qualche goccia di sale. Ma l’istante in cui si esce dall’incanto del gorgo è terribile. Non si vede più nulla: sembra di entrare, asfitici, nelle tenebre della morte. I capelli si appiccicano sugli occhi, l’acqua che sgocciola dal fronte impedisce alle palpebre di aprirsi. Si respira con ansia, ma si è ciechi, d’una cecità spaventosa, che dura meno di un minuto secondo.

Quand’ero un po’ stanco, facevo il morto. Mi coricavo sul mare come sopra il più morbido dei cuscini, immobile, con le braccia aperte e con le gambe unite. Il mare mi dondolava placidamente, cantandomi la ninna nanna. Sull’orizzonte non vedevo dinanzi a me altro che le punte de’ miei piedi; ma di contro al mio viso si apriva la grandezza dei cieli. Guardavo le nubi in faccia. Come nelle carrozze della ferrovia accade spesso di credere che si vada in direzione opposta a quella nella quale corre il treno, e si sbalza, e si guarda esterrefatti; così a me sembrò per un istante di essere in piedi, e di vedere l’abisso azzurro al di sopra e al di sotto. Mi pareva di stare appoggiato ad una parete verticale interminabile, nel mezzo ad una immensità vertiginosa di colori strani. Lo splendore del tramonto prendeva figura come di

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