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212 | il demonio muto |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Senso.djvu{{padleft:214|3|0]]zuppata, raggrumandosi e indurando, aveva ridotto la tela rigida come un legno.
Don Antonio aveva le mani così scarne e le dita così slogate, che con le unghie poteva toccar l’avambraccio. Era un miracolo di eloquenza, un miracolo di abnegazione. Parlava a dodici a quattordicimila persone, che correvano a udirlo dalle valli, dai monti lontani, e si faceva sentire da tutti. Eppure, se tu vai a Brescia, puoi vedere nella chiesa di San Filippo, appesa all’altare del Santo, una lingua d’argento, voto di Don Antonio, quando per intercessione di Filippo Neri guarì dalla balbuzie. A Roma, poco prima di morire, predicando nella chiesa del Gesù, fece piangere il Papa. Aveva per consuetudine, ne’ siti dove egli andava, di parlare contro i vizii che più dominavano in paese. A Desenzano tuonò contro l’ubbriachezza. Il dì dopo tutte le osterie, tutte quante le bettole erano chiuse, e l’Autorità dovette farne aprire alcune per forza a servizio dei forestieri. All’ultimo sermone non voleva altro che i miserabili: era la predica sulla Povertà. Dopo avere mostrato la vanità delle ricchezze, dopo avere eccitato gli animi al disprezzo degli agi, chiamava ad uno ad uno i suoi ascoltatori, e divideva con essi tutto intiero il guadagno del Quaresimale e i pochi panni che gli restavano.
Senti questa. Giovanni stava dietro al pulpito, mentre Don Antonio predicava un dì sull’Inferno. Dopo una pausa, il Beato Antonio