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244 | il demonio muto |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Senso.djvu{{padleft:246|3|0]]sicario e destinato al rogo, poi di nuovo rubato da una femmina iniqua.
Certo, a quello sguardo, che scintilla fuor della tela, ci deve essere una profonda cagione. Don Antonio, bisogna ch’io ti plachi.
Interrogai il Curato. Perdonami, nipote mio: ho già provvisto a te nel codicillo del testamento, ma ritiro il dono, che ti avevo fatto. Il buon prete mi consiglia di distruggere quella mia vecchia gioia mondana, che oggi mi è occasione di rimorsi e di paure.
*
Ieri sera nevicava, tirava vento, si sentivano certe voci lugubri a tutte le finestre ed a tutti gli usci. Non avevo dormito da una settimana. Andai nella cappella a staccar la chitarra e la portai nella sala. Al lume del fuoco le perlette e l’oro brillavano, e la figuretta di Apollo sorrideva. Il demonio mi tentò e toccai le corde. Un suono rauco e terribile uscì dallo strumento scordato. Allora feci aggiungere molta legna sul fuoco, e quando la vampa toccò la cappa altissima del camino, fatto un supremo sforzo, gettai la chitarra sul rogo, seguendola attentamente con gli occhi. Le corde si contorsero come serpi, mandando un sibilo di dolore; il legno sottile della cassa armonica diventò nero, si spaccò in più luoghi, e, senza infiammarsi, si ridusse