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82 | macchia grigia |
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Il dì 24 dello scorso ottobre, sul far della sera, passavo dal Ponte dei Re accanto a Garbe per andare sino a Vestone, mia passeggiata consueta del dopo pranzo, come quella della mattina era verso Vobarno, quando non preferivo arrampicarmi sulla schiena dei monti, o fare qualche viaggetto, sempre pedestre, a Bagolino, a Gardone, in Tirolo.
Di due mesi e mezzo passati nella Val Sabbia, le prime due settimane furono tutte calme, altre due tutte fuoco, e il rimanente tristezze e terrori. Alle bellezze della natura, che tutti corrono a vedere e che tutti ammirano, avevo preferito la vallata modesta, povera, dove i monti hanno già un certo aspetto selvaggio, e dove non c’è il pericolo di vedere mai la persona allampanata di un Inglese, e neanche la barba nera di un alpinista italiano. Mangiavo le belle trote rosee del lago d’Idro, gamberi saporiti, funghi, uccelli, cacini di capra, molte ova, molta polenta.
V’è ad Idro un alberguccio con due stanzine ariose, pulite. Chi non ha rimorsi vive colà nella quiete del paradiso, senza giornali, senza botteghe da caffè, senza pettegolezzi, guardando lo specchio del lago, le giovanotte che vogano, la Rocca d’Anfo sull’al-