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Resta il villaggio, perduto in una vallata o inerpicato sulla collina: il villaggio in cui ancora fortunatamente non è pervenuta la civiltà; il villaggio che ha le sue larghe strade maestre che si prolungano a vista d’occhio tra i filari degli alberi, che ha le sue viottole strette, intersecate, cinte dalle siepi di biancospino. Attorno ad esso è la campagna vera, vasta, sconfinata — prima la pianura, poi il bosco, la collina, la montagna; tutto fiorito, vegeto, sorridente, silenzioso; in esso le case modeste, umili, raccolte intorno alla chiesa e poi una più grandetta: è la vostra. Forme antiche e severe di mobili, finestre larghissime, stanze vuote di arredi e intanto piene di vita. Dappertutto regna la libertà: dormite pranzate, studiate quando volete, nessuno vi dirà nulla; quei contadini hanno poche curiosità: ignorano, ecco tutto. Che se andate a far visita, trovate la porta aperta ed i visi allegri, vi offrono dei frutti e dei fiori, i ragazzi vi parlano guardandovi in viso, talvolta mettono un dito in bocca: è sconveniente, ma è ingenuo. Le fanciulle portano il fiore alla camicia, la brocca in testa e vi salutano amichevolmente passando sotto la finestra — se andate alla sorgente le troverete lavando e accompagnando con la voce, lo sgorgo e la caduta lenta dell’acqua che nessuno ha pensato ad incanalare e che se ne va tranquilla per le sue faccende. La sera vedrete il

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