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tristia. 137

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - Dal vero.djvu{{padleft:140|3|0]]nire, dell’ignoto, della morte, della terra nera: non era egli là, pronto a salvarla da tutto questo? Fra lei e la sventura s’interponeva Andrea; fra lei e la felicità Andrea sarebbe stato intermediario. Egli doveva pensarci, era il suo compito, il suo dovere, la sua consegna.

Ahimè! il soldato dovè deporre la sua arme, dovè lasciare il posto. Il povero Andrea fu preso da una febbre violenta come ne patiscono solo le tempre forti; il giorno seguente il tifo era dichiarato, e nel delirio egli esclamava: «Non fate venire Gemma, non la fate venire!» E poi aggiungeva raccomandazioni, che le badassero, che non la trascurassero, non la facessero uscire con quel cattivo tempo. In capo al fatale nono giorno, egli aprì gli occhi, disse con voce fioca: «Povera, povera Gemma» e se ne morì.

Alla fanciulla ne parlarono poi, con molta precauzione, a gradi, cercando di non affliggerla: lei non rispose nulla, non pianse. Ma la notte si sentì sola, ebbe freddo, ebbe paura e le parve trovarsi senza difesa, in preda a mille pericoli. Volle distrarsi, cercò di farlo, vi riuscì per poco. Pure pensava spesso a quell’onesto e bravo garzone che le aveva voluto tanto bene e che essa aveva tanto mal ricambiato: e per una strana bizzarria d’inferma si pose ad amare quel morto. Come avrebbe voluto rivederlo un sol momento per domandargli perdono! Come si sentiva piccola e meschina davanti a quell’uomo che essa aveva torturato a fuoco lento, sorridendo delle sue lagrime! Come era pentita ed umiliata, come era stata cattiva! L’inverno fu lungo,

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