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PALCO BORGHESE.

Nei momenti interessanti del dramma quel palco offriva uno spettacolo degno di ammirazione: quelli che lo occupavano — undici persone — formavano un gruppo di fisonomie ansiose, di occhi spalancati, di bocche semiaperte, di corpi abbandonati; il che attestava qualmente i legittimi e relativi possessori di quei corpi, di quelli occhi, di quelle bocche, fossero profondamente attenti alla rappresentazione. Schierate in fila di battaglia; sul davanti, erano quattro fanciulle, volti graziosi, niente intelligenti, linee superficiali, occhi a fior di testa, capelli castani: bellezzine borghesi napoletane. La prima aveva fatto un tentativo di abito Pompadour, mettendo dei nastri rosa sopra un abito azzurro; tentativo ingenuamente sbagliato, perchè il rosa tendeva al rosso e l’azzurro era troppo cupo. La seconda portava quella tale toilette, cara alle abitataci di Foria, dove il giallo si mescola col marrone a furia di losanghe, di strisce, di pieghe, di maniche differenti: imbroglio inestricabile. La terza si pavoneggiava in un abito bianco, cucito da lei, adorno di trina lavorata in casa, stirato in casa, rialzato da

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