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palco borghese. 281

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— Giacomino, andiamo al teatro, si finirà tardi.

Arrivano, le porte sono ancora chiuse, passeggiano, vedono giungere gli attori, i pompieri, i carabinieri; appena si aprono le porte, entrano in teatro, è oscuro, sono i primi — non importa. Ci sono. Con che orgoglio prendono possesso dei loro posti! Come ammirano tutto! Come esaminano minutamente ogni signora che entra!

E quella sera la Marini recitava nella Signora dalle camelie.

Comprendete? Sulla scena la Marini ride, folleggia, freme, ama, singhiozza, agonizza: e lassù quelle quattro fanciulle sono attente, commosse, trasportate; questa impallidisce, una diventa rossa, un’altra fa il viso serio e stringe le labbra come un fanciullo che abbia bevuto un vino troppo forte; all’ultima scorrono le lagrime e sono ribevute dalle guancia accaldate. Negli intervalli esse rimangono silenziose, distratte, quasi stordite — ed intanto guardano una bella figura di donna, tutta sola in un palco, la guardano sospirose d’invidia pel volto puro e bianco, per gli occhi ammaliatori, per l’abito di raso, ricco di merletti, pel fuoco liquido e freddo dei brillanti.

Comprendete? Sulla scena Margherita muore di amore; le solite frequentatici del Sannazaro, belle giovinette, eleganti signore, abbonate della prima dispari, non piangono e non pensano: tutt’al più

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