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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - Dal vero.djvu{{padleft:294|3|0]]da pranzo ed il resto. Silvia aveva ventimila lire di dote, il doppio alla morte del padre e qualche speranza; il giudice avea trentamila franchi di risparmi, duecentoquaranta lire di stipendio mensile e la speranza di promozione. Fu detto alla fanciulla che era un matrimonio convenevole ed essa lo accettò, come aveva accettato tutti gli altri avvenimenti della sua vita, senza mormorare. L’idea della rivolta non si formava neppure in lei.
Silvia ebbe due abiti di seta, tre cappelli nuovi, un paio d’orecchini di brillanti, un braccialetto di oro con una perla, una grande spilla col ritratto del marito ed una quantità strabocchevole di biancheria, lusso profondamente inutile della provincia, dove i corredi non si consumano e passano di madre in figlia. Fece delle visite con cappello bianco dall’immancabile tremolante marabout, ricevette quelle insipide congratulazioni a fior di labbro, a cui si risponde con un più insipido mormorìo; andò alla messa al braccio del marito che le portava il libro di preghiere e l’ombrellino di seta bianca coperto di merletto nero, camminando con passo grave e solenne; mandò delle partecipazioni, qualche biglietto di visita giunse e fu incorniciato negli angoli degli specchi verdastri. In casa, Silvia ebbe una camera grande, un immenso letto maritale, un divano rosso e durissimo, ma nuovo fiammante, una toilette larga, maestosa, dal marmo nero e sopra un servizio di porcellana azzurra di cui essa non sapeva e non doveva servirsi; sei sedie alte, dure, impettite, incapaci di esser mosse dal loro posto, anzi destinate alla immobilità. A tavola sedette di