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silvia. 295

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - Dal vero.djvu{{padleft:298|3|0]]la forza accumulata nel suo lungo periodo d’inerzia. Ecco il bambino, bello, vivo, sangue del suo sangue, cuore del suo cuore; gli occhietti neri luccicano nel bianco visino, le labbruccie spruzzate di rosso chieggono i baci. — Eccolo nudo e ridente davanti alla fiamma del camino, agitando le gambette, contento del calore e cercando mordere il suo piedino di angelo. Ma è possibile? Questa cosetta rosea, graziosa, quest’animuccia che ancora rammenta le voci del paradiso, è suo figlio, suo, suo, suo? Egli dice la prima parola, il caro adorato vuole la mammà, la chiama, la chiama in tutti gli accenti, e la mamma si nasconde per udire una volta di più quelle due sillabe scoppiettanti. Presto egli ha voluto camminare e, tutto fiero del suo coraggio, traballando ad ogni passo, cerca raggiungere la mammina che si allontana, sorridendo e tendendogli le mani; cresce, cresce, il bambino è già un fanciullo. Come felice la madre, appoggiandogli la mano sulla bruna testa, quasi a proteggerlo, a benedirlo, a carezzarlo; come felice sentendo sulla sua il contatto di una fresca guancia ed al collo la catena di quelle braccia amorose; come felice nel guardarlo, nel sondare la fierezza del nero occhio, nell’ammirare il riso di quella bocca leale! Oh, madre fortunata senza fine nella sua creatura! Dio! Dio! che aveva ella fatto per meritare tanto?

Oppure era una bambinetta bianca, dagli occhi glauchi e dolci, dalla vocina melodiosa, dalle membroline gentili, dai capellucci così fini e così biondi che sembran oro ridotto in sottilissimi fili. Non sa far altro la fanciullina che fissare i suoi grandi

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