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218 | al veglione |
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— No, io andrò — disse lei a voce alta, quasi per incoraggiarsi — poichè egli verrà.
Solo nella via sentì il freddo delle spalle nude sotto il raso nero del dominò; non aveva messo pelliccia, lei abituata a stare calduccio. Ma come la febbre divoratrice le saliva al cervello, non sentì più il freddo. Una nuova paura fu quella di non trovare carrozza. Camminava impacciata e guardinga, gelata dal freddo, riarsa dal caldo, urtando nelle colonnine; smarrendo la via sotto la maschera. Già qualche viandante si era fermato a veder passare questo dominò imbarazzato, profumato ed elegante. Uno l’aveva chiamata, offrendole da cena. Lei tremava, lei, la contessa, abituata alla devozione dei servi, al rispetto degli amici — sola, abbandonata, morente di vergogna e di paura.
Finalmente una carrozza passa, ella chiamò, vi salì dentro come un naufrago che giunge a riva.
— Che importa? Egli verrà.
Era la sua giaculatoria, la sua litania, la