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Mario Felice 97

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— Peccato, peccato, peccato! — mormorava ella, pianissimo, lamentandosi come un bimbo malato.

Anch’egli era pallido, udendo quel sommesso lamentio, che deplorava l’aridità del suo amore. Ma continuava:

— Del resto voi siete un angelo, cara Maria. Un angelo che ha detto una sola bugia, nella sua angelica esistenza.

— Quale? — chiedeva lei, smarrita.

— Tu dici la bugia, cara, quando dici di volermi bene.

— Io, io? — -gridava lei stupefatta.

— Tu. Non è vero che mi ami.

— Oh Madonna mia, — gridava lei, soffocatamente.

— Se vuoi, te lo dimostro.

Così, Mario Felice la vinceva. Innanzi alla negazione precisa, assoluta dell’amor suo, tutta la forza di abnegazione di Maria svaniva. Ella non resisteva a quella negazione, ciò la esasperava e l’avviliva, non trovava nulla da risponderle, il suo sdegno era grande come il suo terrore. Ma che uomo era dunque, questo Mario Felice, a cui ella si era avvinta?

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