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Vicenzella | 111 |
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Vicenzella ritornò pressò il focolaretto. Ora, seduta sopra una seggiola sgangherata, appoggiata al largo parapetto di pietra, per non cadere, sorvegliava la cottura del polipo, scoperchiando ogni tanto la pignatta, immergendovi uno schidioncino a due rebbi. E taciturna, coi fieri occhi lionati che guardavano la via di Santa Lucia che era piena di sole, di carrozze, di persone, che era attraversata ogni minuto dai trams, ella lavorava a una sua calzetta azzurra, col tallone bianco. Gennarino, il pizzaiuolo, passò, portando sul braccio un largo scudo di stagno, su cui erano disposti, a corona, i segmenti di pizza, odorosi di pomodoro e di origano.
— O Vice’, è cotto il polipo?
Essa fece finta di non udire: e conservò la severità della sua bocca larga ed espressiva, la fierezza dei suoi occhi che non conoscevano lusinghe, la durezza delle nere sopracciglia aggrottate.
— Se mi dai un po’ di polipo, Vice’; ti do una fetta di pizza.
— Non ho appetito, e il polipo è crudo.