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186 Un suicidio

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— Va, va, sarai più felice, morto, — gli disse ancora, Gwendaline.

— Dammi un bacio, — chiese egli, umilmente, inginocchiandosi innanzi al divano dove ella giaceva sdraiata, per non darle il fastidio di levarsi.

Ella si voltò leggiermente, all’uomo inginocchiato: gli prese la testa fra le mani sottili e ingemmate e gli posò le belle e fresche labbra, sulla fronte. E a lui parve che, ancora, in quel lungo bacio, le labbra di Gwendaline gli avessero detto:

— Va, va, sarai più felice, morto.

· · · · · · · · · · · · · · · ·

Scendendo, per via Nazionale, Julian Sorel andava alla morte. Non trascinava più a stento le sue gambe stanche, ma non correva neppure; non si fermava più, a certe vetrine, ma gli occhi che fissava sui viandanti, avevano la stessa dolente espressione di chi non vede; non trasaliva più, quando squillava la cornetta del tram, ma il pallore del suo volto era diventato livido. L’uomo agonizzante aveva ricevuto la estrema ferita: ma gli era anche stata indicata una via ed egli vi andava,

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