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192 Un suicidio

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Anche il cane si era fermato: e teneva il capo basso aspettando.

— Va via, va via, — gli disse Julian Sorel, — io ho da morire.

La bestia levò il capo e guardò, con quegli occhi di animale caritatevole, povero e dolente. Tutta l’anima di Julian Sorel tremò, di sgomento, di stupore. Ma chi, chi lo guardava, in quel tenero sguardo animalesco, quale novella ossessione di pietà veniva a dargli un ultimo dolore, un dolore fatto di tenerezza umile, di struggimento amarissimo e dolcissimo?

— Ho da morire, ho da morire, — egli disse, parlando a quella bestia come a un uomo, — sarò più felice morto.

E si avviò, di nuovo, verso Ponte Molle, reprimendo tutte le lagrime di una ignota tristezza che gli salivano agli occhi, reprimendo l’acutezza di un misterioso rimpianto. Il cane lo seguiva, passo passo: e Julian Sorel lo udiva, dietro a sè, camminare fedelmente, sudicio fino alla nausea, brutto fino al disgusto, mezzo morto dalla fame e dalla fatica, ma deciso a seguirlo, fin dove voleva andare l’uomo che

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